Tra scienza e creatività, due fratelli siciliani uniscono biologia marina e narrazione per salvaguardare il Mediterraneo, raccontando storie di conservazione e sostenibilità attraverso documentari.
Andrea e Marco Spinelli, fratelli cresciuti con l’amore per il mare trasmesso dal padre subacqueo, hanno trasformato questa passione in una missione di vita. Andrea, biologo marino presso la Fondazione dell’Oceanografico di Valencia, si occupa della conservazione degli habitat marini, mentre Marco, documentarista e videomaker, porta alla luce le storie del mare attraverso immagini e narrazioni. Nel 2020, durante un’immersione a Cefalù, in Sicilia, scoprirono le “reti fantasma”, molto pericolose per la fauna marina, e lanciarono “Missione Euridice”, un progetto per rimuoverle e sensibilizzare il pubblico sul loro impatto nel mare. Il loro documentario, disponibile su Amazon Prime video, ha ottenuto ampi consensi. Il nuovo lavoro è il documentario “Shark Preyed”, un progetto sul commercio della carne di squalo, per evidenziare le minacce a una delle specie più a rischio. Con competenze diverse ma complementari, i fratelli Spinelli dimostrano che scienza e creatività possono unirsi per proteggere il nostro mare.
A rispondere alle nostre domande è Andrea. Come è iniziata la vostra storia?
Sono cresciuto in Sicilia in una famiglia che ha sempre avuto il mare nel cuore. Sin da bambino, il mare non era solo un luogo di svago, ma una presenza viva, un insegnante silenzioso. Mio padre, subacqueo, ha portato in acqua me e mio fratello fin da piccoli. La mia infanzia è stata un susseguirsi di giornate in gommone, di immersioni che ci facevano scoprire un mondo segreto e straordinario. Il mare non era solo sopra, o sotto, ma tutto intorno a me, sempre e con costanza, con quel suo modo unico che ha di farsi amare e farsi vivere. Io e mio fratello Marco siamo cresciuti guardando i documentari di Jacques Cousteau, affascinati dalla vastità di quell’universo sommerso. Non è mai stata un’imposizione, ma un amore naturale, quasi inevitabile. Da qui nasce il mio credo: «Conoscere, amare, proteggere». È un ciclo perfetto! Se non conosci, non puoi amare. E se non ami, non puoi proteggere. Ho studiato biologia marina, laureandomi e poi completando un dottorato di ricerca. Ho dedicato la mia vita a capire e tutelare gli habitat e le specie marine che rischiamo di perdere per sempre. Marco, invece, ha scelto la strada dell’immagine, specializzandosi in fotografia e video. Ma alla fine, entrambi siamo tornati al nostro punto di partenza: il mare.
Oggi, uniamo le nostre competenze. Io con la scienza, lui con la divulgazione visiva. Cerchiamo di fare la nostra parte, di trasformare l’amore per il mare in azione concreta. Non si tratta solo di documentare, ma di educare, di ispirare. Perché il mare, con la sua bellezza e fragilità, merita di essere conosciuto, amato e protetto.
“Missione Euridice” è un documentario che svela il silenzio del mare soffocato?
“Missione Euridice” non è solo un documentario, è un viaggio nelle profondità del mare, una finestra aperta su una realtà che troppo spesso ignoriamo. L’idea è nata da un cortometraggio, un piccolo progetto che io e mio fratello Marco abbiamo realizzato nel 2020. Quell’anno abbiamo iniziato a immergerci nelle acque di Cefalù, in prossimità della secca dei Campanari, un luogo che avrebbe dovuto essere un’oasi di biodiversità. Ma quello che abbiamo trovato era un ecosistema soffocato: reti fantasma, perse dai pescatori, che si aggrovigliavano ai fondali, intrappolando pesci e soffocando la vita marina. Quella visione, così silenziosa e devastante, ci ha spinto a raccontare questa storia. Il primo passo è stato un cortometraggio, “Reti Fantasma”. Abbiamo voluto dar voce al mare, letteralmente. Grazie a Roberto Pedicini, la voce narrante del progetto, il mare raccontava il peso dell’impronta umana, il danno invisibile ma inarrestabile che stava subendo. Inviammo il corto a festival internazionali, e i riscontri furono straordinari. Capimmo che il corto era solo l’inizio. Dovevamo andare oltre. Così è nato “Missione Euridice”: un progetto più ampio, con l’obiettivo di studiare l’impatto delle reti fantasma sugli ecosistemi marini e raccontare questa realtà al mondo. Abbiamo voluto comunicare non solo un problema, ma anche la bellezza e la fragilità del mare, con la speranza che chiunque guardi questo documentario possa sentirsi coinvolto, possa conoscere, amare e, infine, proteggere. È il nostro modo di restituire qualcosa al mare che ci ha dato tanto; e, forse, di ricordare a tutti che non è mai troppo tardi per salvare la natura.
Quali risorse sono state impiegate per realizzarlo? Il mondo digitale vi ha aiutato?
Dopo la pandemia, lanciammo una campagna di crowdfunding. Non sapevamo cosa aspettarci, ma più di 800 persone hanno deciso di credere in noi. Inizialmente una comunità di persone comuni, di gente che ama il mare e si è impegnata con la donazione a proteggerlo, poi i giornali come ad esempio il “Corriere della Sera” e “La Repubblica” che hanno dato risonanza al progetto, infine il nostro sogno è stato reso possibile. Con il budget adatto, abbiamo formato un team di subacquei, ricercatori e filmmaker, pronti a documentare ogni passo della nostra missione. Nel 2021, ci trovammo sott’acqua, al largo di Cefalù, a recuperare più di una tonnellata di reti fantasma.
Quelle reti, intrappolate sul fondale, soffocavano la vita marina e accumulavano microplastiche. Grazie alla visibilità ottenuta e alla credibilità scientifica che ci accompagnava, riuscimmo a testimoniare il dramma, ma anche la speranza del mare. La speranza, in fondo, è stata la vera protagonista. Un anno dopo il recupero, abbiamo visto i primi miracoli. La biodiversità in quell’area è raddoppiata. È stato come se il mare, liberato dal suo peso, si fosse ricordato di come respirare. La nostra testimonianza è diventata una prova tangibile: il mare ha una straordinaria capacità di rigenerarsi, se solo glielo permettiamo. Oggi, “Missione Euridice” è il racconto di un viaggio, ma anche di una possibilità. La possibilità di ridare al mare una voce e una forza che nessuna rete fantasma potrà mai soffocare.
Cosa ci dice riguardo il vostro nuovo progetto Shark Preyed?
Un anno dopo “Missione Euridice”, nacque l’idea di “Shark Preyed”, un documentario che affronta un tema tanto sconosciuto quanto cruciale: il commercio legale di carne di squalo in Europa. Il nostro obiettivo è chiaro: raccontare il destino degli squali, creature straordinarie e indispensabili per l’ecosistema marino, oggi a rischio estinzione. Gli squali, vittime di una reputazione distorta, sono ancora troppo spesso percepiti come “mangiatori di uomini”, un’immagine amplificata dal cinema e dai media. Eppure, i dati parlano chiaro: ogni anno sono più di 100 milioni gli squali uccisi dall’uomo, mentre gli attacchi agli esseri umani non superano la decina. Sono loro a essere in pericolo, non noi.
Abbiamo attraversato mercati, parlato con pescatori e commercianti, esplorando l’intricata rete di importazioni ed esportazioni che vede Spagna e Italia tra i principali protagonisti di questo commercio. Ma non ci siamo fermati alla superficie. Ci siamo immersi nelle acque profonde per osservare da vicino questi animali, per raccontare una storia di connessione, non di paura. Gli squali sono la classe di vertebrati più minacciata al mondo, un pilastro degli oceani che sta scomparendo sotto i nostri occhi. Il nostro documentario, in uscita nel 2025, vuole sfidare lo stereotipo del predatore spietato, mostrando quanto invece questi animali siano fondamentali per l’equilibrio dei mari. Non è solo un film, è un grido d’allarme. È il tentativo di ridare dignità e voce a chi, da troppo tempo, è stato vittima di miti e pregiudizi. Gli squali non sono mostri: sono i guardiani degli oceani.
Cosa vi aspettate di cambiare attraverso le vostre narrazioni?
Magari non possiamo cambiare le politiche globali, ma possiamo invitare le persone a fare scelte consapevoli ogni giorno. Molti non sanno che pesci come il palombo o il vitello di mare, spesso presenti sui nostri piatti, sono in realtà squali. Prendiamo il classico fish and chips: un tempo era preparato con merluzzo, ma negli ultimi 5-10 anni, questo è stato sempre più sostituito dalla carne di squalo. Una volta tagliate testa e pinne, il filetto diventa indistinguibile da quello di altri pesci, con un costo che si aggira intorno ai 3-4 euro al chilo, contro i circa 20 euro del merluzzo.
La pesca degli squali è, purtroppo, fin troppo semplice. Questi animali, spesso di grandi dimensioni, diventano prede facili per le reti. Negli ultimi 50 anni, le popolazioni di squali si sono dimezzate, un calo del 50% che minaccia gravemente l’equilibrio degli ecosistemi marini.
Lo squalo, a differenza di animali come il panda o il delfino, non gode di un’immagine simpatica o accattivante. Nonostante il suo ruolo fondamentale negli oceani, continua a essere visto come un predatore spietato, un’immagine alimentata da anni di cattiva pubblicità. Ma forse, conoscendo la verità, possiamo iniziare a cambiare il nostro modo di guardarlo e proteggerlo, prima che sia troppo tardi.
Quale è la vostra visione del mondo digitale?
Uno dei grandi problemi del mondo digitale oggi è la divulgazione errata delle informazioni. Ad esempio, nei media tradizionali e online, ogni attacco da parte di uno squalo viene spesso sensazionalizzato, ingigantito per attirare l’attenzione e generare clic. Questo tipo di approccio non fa altro che alimentare paure infondate e perpetuare stereotipi, anziché promuovere una corretta comprensione della realtà. In Italia, siamo un passo indietro rispetto ad altri Paesi, come la Spagna, dove si presta maggiore attenzione alla comunicazione scientifica e alla divulgazione corretta delle notizie, soprattutto in ambito ambientale. Purtroppo, non c’è abbastanza interesse per il mare, e ancora meno per i problemi che lo riguardano. Sono poche le persone che cercano realmente di lottare per proteggerlo.
Da quando è nata “Missione Euridice”, facciamo parte di un programma di ricerca in Spagna per localizzare reti da pesca abbandonate. È un progetto importante, ma che solleva un’amara riflessione: in Italia, non solo non esiste un programma simile, ma mai nessuno si è fatto avanti per collaborare o sostenere la nostra missione. È doloroso vedere come il nostro lavoro trovi maggiore accoglienza all’estero, mentre qui, nel nostro Paese, sembra mancare la volontà di agire per proteggere ciò che è nostro: il mare.
Che potere hanno i social media nella diffusione delle vostre storie?
Mio fratello, con la sua dedizione ai documentari, riesce a trasmettere messaggi potenti e autentici. Il nostro lavoro, svolto con il cuore, arriva alle persone in modo trasparente. I social media sono stati una risorsa preziosa per diffondere il nostro messaggio. Marco, lo scorso anno, è stato premiato da Forbes come uno dei 100 giovani under 30 che stanno aiutando a cambiare l’Italia. Io, invece, ho ricevuto un importante riconoscimento in Spagna per il mio contributo alla tutela del mare. È la dimostrazione che, con impegno e passione, possiamo fare la differenza e lasciare un segno positivo nel mondo attorno a noi.
Obiettivi per il futuro?
Il nostro obiettivo è chiaro: conservare e restaurare. Conservare ciò che abbiamo ancora e restaurare ciò che abbiamo già distrutto. Non ci sono altre vie. Progetti come quello delle reti fantasma dimostrano che è possibile ricostituire la vita nei mari. Abbiamo visto con i nostri occhi che il mare ha una straordinaria capacità di rigenerarsi, ma solo se gli diamo l’opportunità di farlo.
Qual è il “messaggio del mare” che volete dare ai giovani?
Ho recentemente partecipato a un TEDx a Barcellona e ho sottolineato un dato che pochi conoscono: al mondo esistono oltre 30 milioni di specie, e noi, esseri umani, siamo solo una di queste. Una specie tra tante, ma una delle poche che sta distruggendo la vita intorno a sé. Gli animali non rappresentano un pericolo per noi; siamo noi il pericolo per loro. La chiave è l’equilibrio, un rispetto profondo per l’ecosistema che ci ospita.
Ai giovani che sognano di intraprendere la strada della biologia marina, il consiglio è chiaro: non smettete mai di inseguire i vostri sogni. Tuttavia, preparatevi a cercare opportunità all’estero, dove il sostegno e le possibilità sono maggiori. L’Italia offre una formazione accademica eccellente, ma spesso non riesce a tradurla in opportunità concrete. Esperienze all’estero possono fare la differenza.