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Chiara Montanari: «L’Antarctic Mindset rappresenta il mio approccio alla vita e al lavoro»

di Laura Severini
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Prima italiana a guidare una spedizione in Antartide, ingegnera e consulente, Chiara Montanari racconta come l’incertezza possa trasformarsi in opportunità. E lo fa tramite un metodo da lei creato, l’ “Antarctic Mindset”, che oggi porta nelle aziende. Un messaggio potente mentre ci avviciniamo alla Giornata internazionale dei diritti delle donne, per un 8 marzo che va oltre le celebrazioni.

 

Chiara Montanari non ha scelto l’Antartide: è stato l’Antartide a scegliere lei. Prima donna italiana a dirigere una spedizione polare, ha fatto della sua esperienza tra i ghiacci un modello di leadership applicabile in ogni contesto, dalle aziende alla vita quotidiana. Per l’ingegnera pisana, il vero cambiamento passa dalla capacità di affrontare l’incertezza con coraggio e creatività. E il segreto è nel mindset.

Lei è stata la prima italiana a guidare una spedizione polare. Come è iniziato tutto?

Non avevo mai pensato di andare in Antartide, è successo quasi per caso. La mia tesi di laurea in ingegneria civile riguardava un impianto di riscaldamento ad alta efficienza per ambienti estremi, e il progetto è stato selezionato per una base polare. Due anni dopo, mi sono ritrovata fisicamente in Antartide a gestire l’installazione, è stato un colpo di fulmine. Mi ha affascinata la natura estrema, la vita nella base, le dinamiche di squadra in un contesto così particolare. Da lì, ho deciso di restare e ho convinto il direttore della missione che potevo essere utile. Sono entrata nel team delle spedizioni italiane e, dopo anni di esperienza sul campo, sono diventata capo spedizione per missioni internazionali, collaborando con Francia e Belgio.

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Photo: Eric Lefebvre

Come si sviluppa la leadership in un contesto come quello dell’Antartide?

Quando ti trovi in un ambiente estremo, il genere non conta. Contano la competenza, la capacità di adattarsi, di trovare soluzioni rapide ed efficaci. All’inizio, però, ho dovuto rompere un’abitudine culturale. Non c’era una vera discriminazione, ma per due anni mi hanno offerto solo ruoli di supporto, anche se avevo più esperienza di altri. Ho dovuto far capire che il valore della leadership non è una questione di genere, ma di capacità. In situazioni critiche, l’unico parametro che conta è ciò che sai fare.

Qual è la più grande lezione che ha imparato in Antartide?

Il valore della connessione. Parlare non significa necessariamente capirsi, e in un ambiente estremo la sopravvivenza dipende dalla capacità di collaborare e creare fiducia.

Da questa esperienza ho sviluppato il concetto di “Antarctic Mindset”, un metodo che oggi porto nelle aziende: invece di vedere l’incertezza come un ostacolo, bisogna imparare a navigarla. Se affrontiamo le difficoltà con la giusta mentalità, possono diventare scorciatoie per la crescita.

Cosa significa per lei l’8 marzo?

Dobbiamo cambiare prospettiva. Non è una questione solo femminile, e non riguarda solo la parità di genere. Il mondo del lavoro è ancora sbilanciato su un modello di leadership maschile, e questo non fa bene né alle donne né agli uomini. Gli uomini sono costretti a reprimere la loro energia femminile, l’empatia, l’ascolto. Oggi abbiamo un’occasione straordinaria: il mondo è sull’orlo di un grande cambiamento e, se decidessimo di accoglierlo invece di chiuderci nella paura, potremmo fare un salto enorme verso una società più equilibrata e creativa. L’8 marzo non dovrebbe essere una celebrazione, ma un momento per ripensare i modelli che ci limitano, uomini e donne allo stesso modo.

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Come costruisce e comunica la sua identità professionale?

Per me, ciò che conta è il valore che porto con il mio lavoro e la capacità di muovermi in contesti diversi senza perdere la mia direzione. L’Antarctic Mindset rappresenta il mio approccio alla vita e al lavoro: più che costruire un’immagine statica, si tratta di allenare la capacità di adattarsi senza perdere la propria identità. Il mio ruolo, dalle spedizioni polari alla consulenza, è sempre stato quello di creare connessioni tra competenze diverse e guidare team multidisciplinari in ambienti complessi. La vera forza non sta nell’apparire, ma nella capacità di essere efficaci anche nelle situazioni più instabili.

Che consiglio darebbe a una giovane donna che vuole intraprendere un percorso simile al suo?

Non lasciarsi condizionare dalle aspettative esterne, ma nemmeno buttarsi a testa bassa senza consapevolezza. Le difficoltà non vanno vissute come un ostacolo insormontabile né come una sfida da superare a tutti i costi, ma come un’esperienza da esplorare. Se impariamo a stare dentro l’incertezza invece di evitarla, possiamo scoprire risorse che non sapevamo di avere. Un altro aspetto fondamentale è trovare la propria direzione autentica. Questo non significa ignorare la realtà, ma saper bilanciare coraggio e prudenza. Il cambiamento richiede strategia e la capacità di proteggersi mentre si percorrono strade nuove. Infine, circondarsi di persone che condividono lo stesso approccio. Nessuno costruisce nulla da solo, e il confronto con chi ha già fatto certi passi può essere determinante per trovare il proprio spazio e renderlo sostenibile nel tempo.

 

Laura Severini

 

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