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Sponsor, social e ufficio stampa per gestire il brand di un esploratore celebrity

di Paolo Robaudi
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Da Cape Town al Polo Nord in bicicletta. Intervista a Lorenzo Barone, esploratore impegnato a percorrere la “strada più lunga del mondo”. Un viaggio che dalla calda savana africana arriverà alla gelida tundra artica. Qualche giorno fa è stato arrestato in Etiopia per 18 ore senza alcun motivo. «L’esperienza appena vissuta è stata la più brutta e spaventosa di tutte le mie avventure» ha dichiarato dopo il rilascio.

Lasciarsi tutto alle spalle, è la vera impresa.

Nel percorso saranno toccati 3 continenti, 12 paesi, 12 fusi orari, oltre 29mila chilometri e ci vorranno circa 400 giorni di viaggio per portare a termine questa impresa con una media di 75 chilometri al giorno e temperature che andranno dai 45° ai -50° gradi. L’impresa dovrebbe terminare entro aprile 2023, alla scoperta di popoli con culture diverse.

Quando e come è iniziata questa tua passione per le avventure estreme in bicicletta?

Nel 2015 sono partito e ho fatto la prima esperienza, poi ho continuato per altri 30mila chilometri. Quando mi sono accorto di non avere più le emozioni dell’inizio, ho cominciato a fare avventure estreme, avventurandomi in luoghi che non conoscevo. Dal 2018 ho iniziato ad adattarmi alle condizioni che incontravo lungo il percorso.

Qual è stato il percorso più duro che finora hai incontrato?

Tante situazioni sono state difficili. Senz’altro il penultimo viaggio che ho fatto in Jacuzia, dove ho trovato temperature fino a -56°. Mentalmente è stato difficile in India: lì ero il “diverso” della situazione e venivo sempre circondato dalle persone. Viaggiare due mesi così, sempre circondato dai curiosi, è stata una vera sfida mentale. E poi nel Sahara Marocchino, sperduto su piste di sabbia a 50 gradi, al confine con l’Algeria, ci sono state varie situazioni in cui mi sono messo alla prova, però sempre esperienze bellissime.

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Mai pensato di mollare tutto e trovarti un lavoro in ufficio?

No! L’unica volta che ho mollato è stato dopo aver passato un mese sotto la pioggia continua, era autunno. Avevo pedalato per 12mila chilometri, fatto oltre cinque mesi di viaggio, volevo arrivare in Asia, ho detto “basta!”: da San Pietroburgo sono tornato a casa perché non mi divertivo più. Ho smesso perché non trovavo più motivo per andare avanti, non era divertente. Anche se erano situazioni e luoghi che avevo scelto io. Sapevo che avrei incontrato quelle difficoltà, ho voluto affrontarle, avevo quello scopo, mi sono testato.

Pedalando hai trovato anche il tempo per sposarti, ciclista estremo e latin lover, com’è successo? Verrà anche lei nel prossimo viaggio?

Lei non è mai venuta durante i lunghi viaggi. Mi ha accompagnato solo a portare le fotografie in tandem per l’Italia, a chi mi ha supportato nell’ultimo giro. Ci siamo conosciuti su Instagram, la prima volta mi ha raggiunto a Irkutsk, vicino al lago Bajkal. Poi è arrivata la pandemia e sono andato a vivere a casa sua, un villaggio in Jacuzia. Uno dei luoghi più freddi al mondo, si arriva anche a 60 gradi sotto zero: la media è a -50°.

Come fai a coprire le spese di viaggio? Hai sponsor che ti aiutano?

Gli sponsor mi danno il materiale tecnico, non ricevo soldi per il momento. In passato ho sempre venduto le foto dei viaggi, facevo il giocoliere per strada, non avevo neanche sponsor tecnici. Due anni fa utilizzando meglio i social, si sono alzati i numeri di engagement, allora qualche azienda ha iniziato a fornirmi materiale e invece di vendere le foto per strada, le vendo a offerta libera sui social. Ricambio chi supporta il mio progetto spedendo fotografie. Oppure come ho fatto nel Nord Italia, portandole di persona in tandem con mia moglie.

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Com’è l’umanità che incontri lungo i tuoi viaggi?

Io prima di iniziare il viaggio nel 2015, pensavo che il mondo fosse pieno di brutte persone. Invece viaggiando mi sono accorto del contrario, che c’è una minima parte, così minima da essere nulla, di persone che non ti aiutano. Le persone che ti aiutano sono molte di più, anche di quanto mi aspettassi. In anni di avventure sono stato ospitato centinaia di volte e i problemi si contano sulle dita di una mano.

Anche brutte esperienze?

Sì ma sono così poche, che non valgono niente rispetto al bello, che ho incontrato e che mi ha lasciato dentro (dopo aver rilasciato questa intervista, Lorenzo qualche giorno fa è stato arrestato in Etiopia per 18 ore senza alcun motivo). Le amicizie, i contatti, sono cose impagabili. In Jacuzia sono stato aiutato moltissimo. Ero sempre coperto di ghiaccio e la gente – vedendo un ragazzo su una bici con bagagli, che magari venivo da un villaggio distante 200 chilometri – mi accoglieva sempre a braccia aperte.

Quando non riesci a raggiungere un villaggio, cosa fai?

Io dormo spesso in tenda. Se mi fermo in un villaggio so già per certo che sarò ospitato. Ma se sono molto stanco, non voglio parlare o spiegare chi sono, da dove arrivo, monto la tenda fuori dal villaggio. Così mi preparo la cena, lavoro sui social, ordino il materiale che devo inviare, scambio messaggi, dormo e la mattina riposato mi presento. Questo anche per risparmiare energie: se sono stanco, farmi capire diventa difficile, rischio di fare tardi, invece così rispetto le mie fasi. Mangio, lavoro, dormo e la mattina sono fresco per conoscere le persone. A -45° ogni cosa va pensata. Ci sono state tratte in cui ho fatto anche 8 giorni a quelle temperature in tenda.

Come si sopravvive a quelle temperature?

Io ho fatto solo piccole esperienze, quelli che vanno al Polo Nord stanno anche due mesi a temperature anche più estreme, senza nessuna comodità, trainandosi 200 chilogrammi di slitta. Le temperature che ho incontrato saranno state anche più basse rispetto al Polo Nord, ma io sono sulla terra e non sulla banchisa. Seguo delle strade e non sono alla deriva sul pack con il ghiaccio che si muove, quello che faccio io è più che fattibile. A -60° se ti scopri solo per mangiare, perdi il naso e neanche te ne accorgi. Un pubblico esterno non può capire certi luoghi e certe condizioni: non basta l’immaginazione. Io prima di andare in Jacuzia ho passato un inverno intero in Lapponia, sono stato in Pamir oltre i 4.000 mila metri percorrendo 2.200 chilometri. In Jacuzia avevo un equipaggiamento che mi permetteva di vivere in quelle condizioni, senza avere problemi anche a -60°.

Sebbene tu faccia parte della generazione “tutto e subito”, i risultati tu li ottieni nel tempo, attraverso la fatica estrema. Come mai?

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Quando mi focalizzo su qualcosa, la perseguo e la ottengo. Io faccio le cose al 100%, oppure niente, sono sempre stato così. Anche con altri sport: prima facevo tiro con l’arco, parkour e altri ancora. Non mi tiro mai indietro. Infatti in 7 anni sono passato da non sapere niente a fare questo genere di avventure estreme. C’è da dire che io utilizzo un mezzo lento, non ho la fretta incalzante che mi spinge di arrivare all’obiettivo. Mi piace attraversare i luoghi che incontro, altrimenti prenderei un aereo, senza vedere cosa c’è nel mezzo. Per godermi il raggiungimento dell’obiettivo, mi piace andare piano.

Che consigli daresti a persone che vorrebbero fare i tuoi viaggi?

Partire! Il momento più difficile di tutti i viaggi che ho fatto è stata la prima partenza. Sono partito perché sono testardo, altrimenti non sarei mai partito. Da lì non mi sono più fermato. Tra decidere di partire, fare i bagagli e farlo sul serio, quella è la parte più difficile. Superare quel momento tecnicamente affrontabile da chiunque, è la fase che consiglio di mettersi alle spalle, prima di tutto il resto: lasciarsi tutto alle spalle, è la vera impresa. Qualsiasi passione si abbia, anche dipingere, bisogna iniziare, questo è il mio consiglio. Concentrare tutte le forze e le energie per perseguire l’obiettivo da raggiungere, qualunque esso sia, anche l’università.

Volontà, forza fisica, resistenza, qual è la più importante?

Servono tutte, però la volontà è fondamentale. Si possono anche avere due gambe grosse, ma da sole non vanno da nessuna parte. Non parti neanche da casa, non superi neanche lo step principale. Stessa cosa se si ha la resistenza. Quindi la volontà è quella che ti porta più lontano. Con determinazione riesci a fare qualsiasi cosa.

Quanto dormi e quanto sei attivo, durante i viaggi?

Dipende dal luogo e dal clima. Quando sono al freddo, la parte del campeggio si prende una buona fetta della giornata. Devo montare la tenda, sciogliere la neve, sciogliere il cibo, fare la zuppa: a ogni azione devo controllare il corpo, le estremità, le mani che non si congelino, la sensibilità del naso. A volte neanche te ne accorgi: se non ci fai caso, comincia il principio di congelamento. Riesco a dormire 7-8 ore mediamente, poi altre 5 ore se ne vanno per spalare la neve. Al caldo è tutto molto più semplice, dormo 7 ore, ma la parte del campeggio si prende un’ora e mezza.

I tuoi genitori cosa dicono?

Niente! Ormai sono abituati.

Cosa pensi di fare, quando ti sarai fermato?

Non so quando, prima o poi succederà, ma almeno prima avrò fatto, se non tutti, buona parte dei progetti che voglio realizzare. Dopo mi vedo vivere a impatto zero, con delle galline, un orto, in mezzo a una montagna, in un posto tranquillo. A zero costi e a zero impatto o quasi, ecco.

Qual è il tuo metodo per gestire i profili social?

Fino a due anni fa non ci stavo neanche tanto appresso: adesso non dico che è lavoro mio, però collaboro con le aziende che mi aiutano con i materiali, facendo foto durante i viaggi e fornendo i contenuti per i loro profili social. Questo riesco a farlo quando raggiungo un villaggio. Durante i trasferimenti, realizzo foto e video. I testi li scrivo mentre sono dentro al sacco a pelo, la sera. In base a dove mi trovo, passo tutto questo materiale a un mio amico, che ha gli accessi e mi aiuta a postare, quando glielo dico io.

Pensi sia utile il supporto di un ufficio stampa?

Per il momento no… Riesco a veicolare i contenuti tramite i media, proponendogli direttamente gli articoli, altre volte sono loro che mi contattano. Sono stato qualche volta ospite in trasmissioni televisive. L’altro giorno avevo il TG1 a casa mia, interessati a questo ultimo progetto che ho messo in piedi. L’ufficio stampa mi avrebbe fatto molto più comodo in passato, oggi riesco a camminare con le mie gambe. Perché non avevo nessun contatto, facevo 50-60mila chilometri in bici e nessuno lo sapeva, ero invisibile. Quando i numeri sono più alti, moltiplichi in modo esponenziale, è tutto molto più rapido, diventa in proporzione tutto più scalabile. 

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Hai mai pensato di scrivere un libro?

Me l’hanno consigliato in tantissimi, me lo scrivono anche sui commenti, però non ho mai avuto il tempo e non saprei neanche da dove iniziare. Adesso farò questo viaggio qui, comunque ci provo, indipendentemente da come andrà finire. Quando torno mi voglio dedicare anche a un libro!

 

Paolo Robaudi

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