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Matteo Cuzzola, wedding photographer: «L’algoritmo sceglierà gli scatti migliori»

di Paolo Robaudi
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Nella vita precedente era un consulente informatico. Poi per caso ha scoperto il suo vero talento. «Vent’anni fa, nel wedding, la fotografia spontanea modello reportage era pressoché sconosciuta. Aver scelto uno stile che non prevede pose forzate è stata una decisione rivoluzionaria: con la mia visione mi sono ritrovato al posto giusto nel momento giusto».

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Da quanti anni fai questo lavoro?

Sono sempre stato incuriosito dalla macchina fotografica, ma da una ventina di anni – ora ne ho 46 – ho iniziato come street photographer, come momento di svago, gioco e poi ho approfondito studiando i grandi autori. Nella mia vita precedente sono stato un consulente informatico. Un giorno un mio amico ha detto che un fotografo cercava un assistente: era il 2007, sono andato a trovarlo a casa sua, facendogli vedere il mio portfolio. La risposta è stata positiva: «Se ti va, puoi venire a fare qualche matrimonio con me». È lui ad avermi insegnato l’approccio alla fotografia di matrimonio reportagistico, che all’epoca in Italia era praticamente sconosciuta. Ho fuso il mio stile fotografico con il modo giusto di rappresentare una cerimonia nuziale, evitando il più possibile, la forzatura delle pose. Questo è stato il mio ingresso nella fotografia professionale.

Come è evoluto il mondo del wedding?

L’evoluzione e i cambiamenti sono stati tanti. All’inizio nel wedding lo stile reportage era una novità. Quello è stato un modo per svecchiare il mercato, mi sono ritrovato al posto giusto nel momento giusto, con la visione più adatta per quel periodo. Grazie alle mie competenze informatiche, mi sono creato un sito in inglese, indicizzato molto bene da Google e in grado di farmi trovare dal target straniero, dei paesi anglosassoni e del nord Europa. La fotografia nel tempo è diventata meno… estrema: nel tempo gli sposi hanno capito che ci vuole comunque un’attenzione al ritratto. Oggi quindi la fotografia di matrimonio che funziona meglio è quella che ricopre entrambi gli approcci: quello del reportage non invadente e quello del ritratto non classico. Oltre al wedding mi occupo anche di fotografia “corporate”: ritraggo manager ed executive utilizzando il mio stile. Collaboro poi con la rivista CEO Magazine: di recente ho fotografato il CEO di MV Agusta, in officine e in ufficio, oppure quello della Candy, anche lui in esterno, in ufficio e in catena di montaggio: cerco sempre di mixare l’esigenza corporate con il mio stile. Anche questi sono lavori che mi piacciono molto.

Che sensazioni provi come fotografo di matrimonio quando lavori?

Oggi fare il fotografo di matrimonio ha senso se affronti tutto in modo empatico: è un lavoro difficile, le giornate sono lunghe e faticose, devi conoscere tutte le specialità del mestiere, devi essere ritrattista, reporter, devi fare still life, fare anche un po’ di moda, di editoriale. Se non sei più che motivato, è un mestiere veramente difficile. Ho capito l’importanza di voler sinceramente bene agli sposi, di provare gioia nel ritrarre uno dei momenti topici della loro vita: tutto sta a non rovinare nulla, a raccontare senza influenzare, a capire come stanno vivendo l’attimo per raccontarlo al meglio. La fotografia di ritratto, la fotografia di reportage, passa attraverso la comprensione dei soggetti che si stanno fotografando. Ci sono coppie più glamour, che amano stare al centro dell’attenzione, altre più timide che lo vivono in maniera defilata: calibrando il modo di muoversi e di relazionarsi, cambia anche il modo di fotografare. È giusto pensare che in quel giorno ognuno cercherà di dare il meglio per gli sposi: il fotografo, il wedding planner, i camerieri. Tutti sono lì per dare un servizio indimenticabile a un cliente, il quale percepisce quella magica atmosfera che lo circonda e tra vent’anni potrà riviverla grazie a delle fotografie speciali e sempre attuali. Nonostante nel frattempo sia cambiato tutto: lo stile dei ritratti, la moda, le acconciature.

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Come incide l’evoluzione tecnologica nella fotografia?

Sono passato a fotocamere mirrorless compatte, che non hanno rivoluzionato il modo di fotografare ma agevolano il lavoro perché sono più comode e leggere. Avendole “settate” con ottiche molto luminose, riesco a lavorare agilmente, passando da una focale all’altra senza dover cambiare ottica alla macchina: semplicemente giocando sulla risoluzione e croppando l’immagine in macchina. Del file che si genera mi piacciono molto le caratteristiche cromatiche, con l’aggiunta di alcuni filtri si arriva a personalizzarlo ancora di più.

L’aneddoto più divertente da raccontare capitato durante un matrimonio?

Niente di particolarmente eclatante. Ricordo un prete arrivato in ritardo e la sposa che lo aspettava sotto la pioggia con l’ombrello. Lo sposo era arrivato da un po’, ma il prete ancora non si vedeva, doveva arrivare con il treno, ma il treno era in ritardo, ti parlo di cose di una vita fa… Qualche autobus incastrato lungo le strade del Lago di Como, con gli ospiti dentro, cose così… La mitica torta che cade non ce l’ho.

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Il mondo della fotografia oggi, dieci anni fa e tra dieci anni?

Dieci anni fa c’erano i fotografi e i videomaker, ora invece queste figure si stanno ibridando già da un po’. Questo è stato uno dei motivi per cui sono passato a mirrorless, per poter switchare da foto a video, più velocemente e con facilità. Al momento, specie in chiave corporate, insieme al servizio fotografico ti richiedono un timelapse, un video per i canali social, un po’ di cose miste. Fra dieci anni? Ipoteticamente vedo l’intelligenza artificiale e la fotografia computazionale integrati all’interno delle macchine fotografiche. Immagino delle apparecchiature che avranno perso completamente la parte meccanica: saranno scatole che dopo aver fotografato, assembleranno più immagini e – grazie all’intelligenza artificiale – te le restituiranno in base all’algoritmo adatto per i nostri desideri. È la direzione che stanno prendendo tutti: ormai le automobili tipo Tesla sono degli smartphone con le ruote.

Come comunichi con il tuo pubblico?

Senz’altro su Instagram, che è il canale più diretto e funzionante, quello sul quale le persone ti notano e ti cercano. Funziona come portfolio: a me non interessa essere popolare, però per far vedere il proprio lavoro è quello più importante. Se domani uno vuole sapere chi sei fotograficamente, non va sul sito, va sul tuo profilo IG. Ho due siti, uno per i matrimoni e uno corporate. Quattro-cinque volte all’anno scrivo sul mio blog un post, lo faccio sia perché mi piace, sia per l’indicizzazione, che fa sempre piacere. Facebook a parte, mi concentro più che altro con costanza su Instagram – essere costanti è più importante della popolarità – tranquillizza gli sposi che ti hanno scelto, li fa stare sereni nel giorno del matrimonio. Stessa cosa per gli sposi con i quali hai già lavorato, che verificano la qualità della loro scelta: di fatto, il passaparola resta sempre la migliore pubblicità.

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Photo: Federica Cicuttini

Ti avvali di qualcuno che segue i tuoi canali social? Come curi le PR?

No! Per i canali social faccio tutto io. Le fiere? Essendo la mia clientela più che altro straniera, quelle classiche sono tutto sommato poco utili. Spesso vengo coinvolto in singoli eventi legati a una location, in cui tutto il gruppo di lavoro – dal wedding planner al floral designer, dal catering al fotografo – presenzia in una singola location che aiuta gli sposi a immaginare in anticipo come potrebbe essere il loro matrimonio. Da fotografo professionista con partita Iva devo continuare a rimanere continuamente aggiornato sulle tendenze del mercato: oggi infatti le spose hanno le idee molto più chiare su cosa vogliono e ti chiedono in modo molto preciso una determinata estetica.

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Hai mai pensato di scrivere un libro?

Non ci ho mai pensato, non amo espormi troppo, non saprei come approcciarlo. Sono un fotografo, faccio fotografie, mi piace prestare attenzione alle persone che ho di fronte, più che a raccontare qualcosa di me. Parte del mio modo di essere viene fuori dalle foto che faccio. Quando uno fa il fotografo in maniera sincera e trasparente, sono le sue foto a parlare per lui. Le cose non crescono da sole, vanno alimentate.

 

Paolo Robaudi

Photo Cover: Vittore Buzzi

 

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