Ha scelto come brand personale “La Guardarobiera”, una figura antica che aveva il compito di custodire guardaroba e biancheria nelle case private. Dopo anni di attività nel settore della moda, l’incontro con Tom of Holland, maestro di rammendo visibile, ha cambiato la sua vita. Ora Paola Pellino dona nuova vita a capi di vestiario danneggiati dal passare del tempo.
Il visible mending non era conosciuto in Italia, credo di essere stata la prima a farne una professione. Il rammendo creativo aiuta a spostare il focus sul qui e ora e produce un effetto wow quando si vede il risultato.
Ciao Paola, e benvenuta su Business Celebrity!
La tua storia personale è molto avvincente e la passione per il rammendo creativo arriva dopo un lungo percorso nel settore dell’abbigliamento e del retail. In questa intervista ti chiederò di raccontare brevemente di te e della tua attuale professione, con un occhio particolare al tuo personal storytelling e personal branding.
Come mai hai scelto di chiamarti “la Guardarobiera”?
Stavo cercando un nome che esprimesse il concept del mio lavoro e avevo stilato un elenco di nomi ma nessuno era quello giusto poi un giorno una persona mi disse che le piaceva mettere ordine negli armadi, scegliere i profumi adatti e riporre tutto nei sacchetti di tessuto come una guardarobiera. E si accese una lampadina.
Puoi raccontarci da dove deriva questo speciale job title?
La guardarobiera era una figura antica che aveva il compito di custodire, conservare, pulire e riordinare il guardaroba e la biancheria nelle case private.
Quanto è importante trovare una definizione calzante del proprio lavoro, anche in ottica di comunicazione?
Per me è fondamentale, il nome è ciò che ti identifica, deve catturare l’attenzione, incuriosire e raccontare chi sei.
Dopo la pandemia la moda sostenibile è di moda, tutti ne parlano, tutti vogliono “tuffarsi” al suo interno. Tu sei stata un’anticipatrice dei tempi, che cosa hai visto allora che ti ha spinto ad imboccare la strada del rammendo creativo?
Il mio percorso è iniziato nei primi anni 2000, quando entrai in contatto con alcune realtà artigianali molto creative creando una sorta di community e proponendo le loro creazioni alle mie clienti. In seguito, iniziai a lavorare come buyer e retail assistant visitando fiere e showroom tra Milano e Parigi e lavorando con brand di ricerca provenienti da ogni parte del mondo. Dopo qualche anno iniziai a percepire che qualcosa stava cambiando. Alcuni brand chiusero l’attività, altri iniziarono a proporre prodotti di qualità inferiore, le collezioni sembravano meno interessanti, meno creative, spesso ripetitive, la produzione massificata stava occupando una grande fetta di mercato mentre i piccoli brand stavano scomparendo e i nuovi non riuscivano a dare continuità. Pur amando moltissimo il mio lavoro, non ero più motivata, iniziai a seguire Fashion Revolution e mi riconobbi nel loro manifesto. Poi incontrai Tom of Holland, maestro di rammendo visibile, e grazie a lui capii che quella era la strada da percorrere.
E guardandola adesso, quanto sei felice di aver intrapreso quella strada?
Non è stato semplice lasciare un lavoro sicuro in un posto meraviglioso, la maggior parte delle persone mi ha preso per pazza. Il fatto è che non ero felice, sentivo di voler esprimere altro, avevo bisogno di indipendenza. Ora sono felice perché faccio quello che mi piace e in cui credo. Chiaramente non è semplice gestire tutto da sola, le mie giornate non finiscono mai, il cervello è sempre attivo e lavoro il doppio di prima. Ho imparato un po’ di cose che vorrei condividere: è possibile cambiare, l’età non conta, il lavoro si crea, bisogna essere tenaci e investire nella formazione, non bisogna avere rimpianti, e soprattutto se si ha un desiderio, un sogno, un talento vale la pena ascoltarlo e provare a realizzarlo, qualunque esso sia.
Tu hai iniziato a parlare di rammendo creativo nel 2017. Sono passati solo pochi anni da allora, ma puoi dirci come è cambiata la percezione delle persone rispetto alla tua attività?
Il visible mending non era conosciuto in Italia, credo di essere stata la prima a farne una professione. Come tutte le novità ci è voluto del tempo, le persone si sono rivelate molto curiose e hanno colto il messaggio affidandomi i loro capi, il passa parola e i social media hanno aiutato a farmi conoscere e i corsi hanno avuto subito un ottimo riscontro. Oggi ricevo offerte di collaborazione da parte di aziende del settore moda e questo è un indice significativo. Il rammendo sta diventando uno dei focus della sostenibilità.
Che faccia facevano le persone quando pronunciavi le magiche parole “rammendo creativo” e qual è la loro espressione oggi?
Erano curiose e stupite, dovevo spiegare che il concetto era ribaltato, ciò che fino a ieri non si doveva notare oggi lo si mette in risalto. Non è stato semplice far passare il messaggio e lo capisco, in fondo un tempo si rammendava perché non si poteva comprare un capo nuovo. Bisogna considerare diversi fattori: lo schema mentale che legge il rammendo in senso tradizionale quindi invisibile, il non voler apparire portando qualcosa che attirerebbe l’attenzione su di sé, la paura del giudizio altrui portando un capo rammendato, la mancanza di immaginazione nei confronti di qualcosa che non si conosce. Oggi sono sempre più frequenti le richieste di persone che vogliono imparare il rammendo creativo, mi inviano le foto dei loro lavori, sono entusiaste, altre mi portano o inviano i loro capi da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. Ricevo molti complimenti via email, via messaggio e sui social media.
Hai affiancato alla tua attività uno storytelling sincero e misurato in cui racconti perché hai iniziato, e dimostri quanto il rammendo creativo sia al passo con i tempi e abbia spazio nel futuro. Lo storytelling personale si impara o è qualcosa che è innato nella tua esperienza?
Le storie mi hanno sempre affascinata fin da bambina. Ho trascorso la mia infanzia ascoltando le fiabe sonore e leggendo libri di racconti fantastici. Leggevo le favole in una radio locale e intrattenevo mia sorella minore e mia figlia poi, facendo le vocine di ogni personaggio. Quando facevo la buyer mi incantavo ad ascoltare le storie degli artigiani e dei brand con cui lavoravo e quando tornavo le raccontavo ai miei clienti perché pensavo che avrebbero apprezzato di più ciò che stavo loro proponendo.
Oltre ai tuoi canali social sei stata protagonista di una puntata podcast e tieni svariati corsi in presenza e online. Quali di questi canali comunicativi è più affine al tuo modo di essere? In quale veste ti senti più a tuo agio nel raccontare chi sei e cosa proponi?
Mi piace raccontare, divulgare, coinvolgere le persone quindi credo che l’esperienza di insegnamento con i giovani sia quella più vicina alla mia natura, mi piacerebbe realizzare una scuola di rammendo e ricamo per formare i ragazzi e offrire loro nuove opportunità che magari in quel momento non conoscono. Nelle scuole di moda la maggior parte degli studenti vuole diventare stilista o art director. Invece nel settore moda mancano le maestranze d’eccellenza, maglierist*, ricamatrici/ori, rammendatrici/ori. Le scuole di moda e le aziende dovrebbero attivarsi in questo senso e investire nella formazione. Affiancare la manualità al digitale penso sia una risorsa fondamentale.
Il rammendo creativo è un’attività manuale, e la sua gestualità aiuta a rilassarsi e a riflettere, è quasi meditativo. Lo consiglieresti anche a chi vuole concentrarsi per mettere a punto una sua strategia personale di personal branding?
La digitalizzazione ha ormai ridotto l’uso delle nostre mani a pochi gesti ripetitivi. La manualità è una grande risorsa per la nostra salute mentale. Il rammendo creativo aiuta a spostare il focus sul qui e ora e produce un effetto wow quando si vede il risultato, lo stupore e la soddisfazione nel vedere cosa le nostre mani sono in grado di fare lasciando scorrere l’ago e giocando con i fili colorati, quindi lo consiglio assolutamente.
Tenetela d’occhio perché ha iniziato anche a scrivere un libro sul rammendo creativo.