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Bruno Vettore: «Lavorando sul mio brand ho superato la timidezza»

di Alessandro Dattilo
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È uno dei manager più affermati del real estate italiano, con 30 anni di attività e una leadership al vertice dei principali network immobiliari. In aula ha formato oltre 50mila professionisti: «All’inizio ero impacciato e introverso, ma motivato da uno “spirito di rivalsa”. Ora il public speaking è diventato uno strumento di lavoro e lo confesso… anche un grande piacere».

Ho conosciuto di persona Bruno Vettore nel maggio del 2013. Al Salone del Libro di Torino presentava il suo libro autobiografico «Trent’anni di un avvenire», sottotitolo “Una vita da leader”. Sulle prime, temevo di imbattermi in un personaggio autocelebrativo e un po’ narciso, nel classico manager che all’apice del successo resta ipnotizzato dalla propria immagine, vantandosi di aver ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al merito della Repubblica Italiana”.

Quando (dopo gli interventi di Roberto Re e del compianto Ciro Imparato) ho cominciato a sentirlo parlare del suo lavoro – e dell’appena pubblicata fatica letteraria – ho capito invece di avere di fronte una persona determinata e appassionata delle proprie idee. Un uomo capace di scoprire, cogliere e interpretare dettagli. Partendo da una semplice espressione del volto e risalendo fino ai più riposti segreti della personalità e dell’animo umano.

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Vettore professionista ha scalato tutte le tappe nel settore immobiliare italiano. Dal 1998 al 2002 è stato presidente di Assofranchising, ma soprattutto è arrivato ai vertici del gruppo Tecnocasa, Pirelli Real Estate, e di colossi come Gabetti e Grimaldi. Nel 2013 ha fondato BV Invest, società che si occupa di consulenza direzionale, formazione manageriale e real estate advisory. Oltre che chairman di BV Invest, è attualmente amministratore delegato di FCgroup, azienda attiva nei settori immobiliare, creditizio e assicurativo.

Approfittiamo di un punto di vista privilegiato come il suo sul mondo delle imprese. In seguito all’emergenza Covid, quali sono le preoccupazioni principali nella quotidianità di professionisti e imprenditori?

Imprenditori e professionisti stanno dimostrando una resilienza impensabile di fronte all’incertezza che ci accompagnerà in futuro. Da portatore di ottimismo ponderato, credo però che dopo ogni grande crisi ci sia sempre una ripartenza. Penso ai buoni risultati nella campagna vaccinale, alle misure internazionali che daranno impulso all’economia reale, alla ritrovata libertà di movimento per far rinascere turismo e ristorazione. È ovvio che dopo un cambiamento di questa portata ogni imprenditore e professionista dovrà evolvere il proprio modello di business per dare risposte adeguate al mercato.

Lei si occupa di alta formazione. Come dovrebbe evolvere a suo avviso la comunicazione e il personal branding dei professionisti del settore immobiliare?

L’ambito del settore immobiliare, sotto questo aspetto, è molto arretrato: siamo ancora alle fondamenta. L’improvvisazione, animata forse da buoni propositi, produce risultati discutibili. Emerge una certa vanità e un pizzico di egocentrismo, che rimangono fini a sé stessi se non sostenuti da una forte preparazione e una qualità di alto livello.

Guardando il suo percorso, lei ha scelto un posizionamento che la distingue nel settore. Su quali soft-skills ha investito per crescere come professionista?

Determinare il proprio posizionamento è di basilare importanza! Prima ho approfondito le mie competenze e la mia preparazione, successivamente ho creato contenuti e didattica ad hoc. Nel mio archivio ci sono più di trenta corsi, sei aree di intervento, un patrimonio di oltre 6.000 slides, 120 role-play. Preferisco evitare la collaborazione con altri relatori del mio settore per essere completamente responsabile, nel bene o nel male, del risultato finale. Mentre rimango disponibile a creare sinergie con professionisti di altri settori. Nel posizionarmi ho deciso una politica di prezzo, collocata su una fascia alta del mercato: di conseguenza la mia attività di consulenza e formazione non è esattamente per tutti.

La sua abilità di fronte a un pubblico e alle telecamere è innata o è cresciuta nel tempo?

La capacità di parlare in pubblico in modo chiaro ed efficace si è sviluppata nel tempo, non è affatto una mia dote innata. Anzi, la motivazione nasce dallo spirito di rivalsa: volevo superare l’introversione che era una peculiarità del mio carattere. Affinando la tecnica, il public speaking è diventato uno strumento di lavoro e, lo confesso, anche un grande piacere!

Quant’è importante a suo avviso avere un ufficio stampa che la segue?

Avere un buon ufficio stampa significa valorizzare le strategie e le azioni di ogni azienda o professionista. Apparire sugli organi di stampa o sui media in generale, non solo in termini pubblicitari ma anche attraverso il racconto e l’esposizione dei propri valori e dei principi che guidano il nostro business, è un modo per accreditarsi ed entrare realmente nella mente del pubblico.

Com’è il suo rapporto con i social media? Quali preferisce?

È un buon rapporto, non di dipendenza assoluta, ma di grande attenzione. Per ora ho scelto YouTube, Facebook e LinkedIn, che ho affidato a un social media manager, ma fornisco indicazioni precise e approvo preventivamente ogni contenuto pubblicato. Credo fortemente nelle potenzialità dei social media, come strumento di promozione di idee, progetti e iniziative.

Anche la sua immagine è piuttosto distintiva. Quanto conta avere un look professionale adeguato al proprio business?

Ritengo che sia un elemento fondamentale e imprescindibile. Cercare una precisa identità, definire uno stile e un’immagine coerente, mantenendola nel tempo, crea nel pubblico un interesse e una fidelizzazione generate da una comunicazione chiara, non confusa, dalla quale ne derivano credibilità e affidabilità.

La scrittura di un libro è sempre una tappa fondamentale per il proprio brand personale. Qual è stata la sua esperienza?

La decisione di scrivere un libro è nata da una lunga riflessione, in occasione dei miei trent’anni di carriera. In “Trent’anni di un avvenire” ho ripercorso la storia della mia vita e del mio lavoro, non in termini celebrativi, ma proiettati verso il futuro. Ripensare e mettere in forma scritta il percorso di un giovane ragazzo, timido e impacciato, nato in una famiglia umile che negli anni Sessanta arriva in una Milano enorme e meravigliosa, per poi crescere e diventare un uomo e un professionista affermato, è stata una esperienza emotivamente molto forte.

Nel far crescere questo lavoro sulla propria comunicazione, che genere di reazioni ha riscontrato nel pubblico, nei clienti, nei collaboratori e nei familiari? Ha valorizzato alcuni lati del suo carattere che erano rimasti in secondo piano?

Questa comunicazione mi ha fatto superare una certa ritrosia, lasciando spazio a tratti caratteristici che hanno generato consenso, stima e accreditamento. Ovviamente tutto deve evolvere e quindi anche la comunicazione dovrà affinarsi e mettere in luce ulteriori aspetti personali e professionali. Ho molte idee al riguardo.

Nel dare un consiglio a chi ci legge, cosa serve a suo avviso (mentalmente e praticamente) per passare da generico professionista di settore a “protagonista e punto di riferimento” per una nicchia ben precisa?

Questo è l’aspetto più complicato: non sempre la stima e la considerazione, personale e professionale, si trasformano automaticamente in opportunità di business. Serve soprattutto individuare elementi distintivi e differenzianti, definire con precisione contenuti realmente originali e utili. La strategia di marketing e il piano d’azione devono essere pratici e concreti, con step e tempistiche da applicare in modo preciso e costante. Alla base resta fondamentale identificare un target specifico e investire su quello, senza distrazioni: chi cerca di coinvolgere tutti, alla fine rischierà di non coinvolgere nessuno.

 

Alessandro Dattilo

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